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La Storia di Melicuccà

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Lorenzo Calogero

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Nacque a Melicuccà (Reggio Calabria) il 28 marzo 1910, terzo di sei figli di una famiglia di possidenti, da Michelangelo e Giuseppa Cardone. Frequentato l'istituto tecnico e il liceo scientifico a Reggio Calabria, nel 1929 s'iscrisse alla facoltà d'ingegneria dell'università di Napoli, passando poco dopo a quella di medicina. Già in questi anni cominciò a soffrire di patofobie (credeva di essere affetto da tubercolosi e da cancro). Dal 1932 il C. scrisse i primi versi che raccoglierà in Poco suono (Milano 1936) e avviò una corrispondenza con C. Betocchi, allora tra i redattori del Frontespizio.
Nel 1937 si laureò in medicina e l'anno seguente conseguì l'abilitazione, incominciando a esercitare a Melicuccà e in altri paesi della Calabria. Ma già, verso il 1942, la sua nevrosi lo spinse a un tentativo di suicidio. Nel 1954 ottenne l'incarico di medico condotto ad interim a Campiglia d'Orcia, ma lo esercitò così male da essere dimesso un anno dopo.
Il 9 sett. 1956 gli morì la madre, alla quale egli era sempre rimasto legato, anche nei periodi di lontananza, da una corrispondenza intima e affettuosissima; il C. ne fu tanto sconvolto da ritentare il suicidio tagliandosi le vene dei polsi. Frattanto aveva conosciuto L. Sinisgalli, che subito si era interessato alla sua poesia, ma nello stesso anno dovette essere ricoverato in una clinica per malattie nervose e mentali, "Villa Nuccia", a Gagliano (Catanzaro). Nel 1957 furono pubblicate dalla Fiera letteraria (3 marzo) alcune sue poesie con una presentazione di L. Sinisgalli, e nel luglio il C. vinse il premio "Villa S. Giovanni". Uscito dalla clinica in pessime condizioni, dopo vari tentativi di riallacciare rapporti con critici ed editori, si ritirò a Melicuccà: il 25 marzo 1961 fu trovato morto nella sua casa.
Pochi giorni dopo la sua morte, L'Europa letteraria pubblicava i versi del C. che, per ragioni tecniche, non erano potuti uscire nel numero precedente, con questo preciso giudizio di G. C. Vigorelli: "un 'caso', non soltanto letterario, che sembra inscriversi tra quelli eccelsi di Campana e di Artaud". Si deve comunque a L. Sinisgalli la scoperta, e a R. Lerici l'edizione di questa poesia postuma, in tre volumi, partendo a ritroso dalle opere più mature.
Il C. scrisse i primi versi negli anni (1932-33) della stagione ermetica italiana, e vi si sente infatti l'imitazione, oltre che di Leopardi, di Ungaretti; ma vi si trovano anche elementi della mitologia del Pascoli, di Quasimodo, con immagini che indicano un generico desiderio di evasione e di elevazione.
Nelle composizioni di Ma questo (1955) la trasfigurazione antirealistica dei dati del paesaggio e della memoria è portata avanti con un nuovo senso di desistenza e di rinuncia, di vita affidata al sogno o al ricordo, attraverso la descrizione di un mondo estremamente lievitato. Nell'avvertimento all'edizione del '56 di Come in dittici il Sinisgalli coniava, per la tecnica espressiva del C., la definizione di "arabesco", che non è calligrafismo ma serve a esprimere l'idea dell'essere, colto nel suo alone di ripercussioni emotive, piuttosto che nel suo centro attivo: ad esempio il C. si rivolge spesso ad una donna indefinita, della quale non si vede il volto, o alcun contorno fisico, bensì un colore, un tono impercettibile.
Con questa tecnica espressiva, che era quella di una generazione precedente, il C. non sarebbe arrivato a nessuno sbocco originale; ma nei Quaderni di Villa Nuccia, scritti quasi tutti in clinica, si avverte che una realtà di sofferenza, la malattia e l'amore verso una persona umana, hanno rotto il distacco della pura registrazione, dando vita a un nuovo linguaggio, più chiaro e limpido, con versi di una bellezza che sembra ricalcare il "ritmo magnogreco" della regione. Il C. è consapevole che la propria condizione è irrimediabile, e tale consapevolezza attenua la letteratura: nel conclusivo desiderio della morte c'è una più umana negazione-accettazione della vita ("E quel che mi rimane / è un poco di turbine lento di ossa / in questo orribile viavai / dove è alzato anche / un palco alla morte").
Dopo la morte del C. la critica ha cominciato a muoversi in due direzioni: la definizione dei caratteri di questa poesia e la spiegazione sociale e culturale di essa. Si sono fatti dei raffronti con altri personaggi, da quello, ovvio, con Leopardi (Trisolini) e con i grandi romantici stranieri, o con i poeti maledetti (De Tommaso) fino al paragone con l'uomo Pavese (Piromalli), notando come tuttavia quest'ultimo avesse trovato, nell'impegno umano e politico, il legame con la società e la realtà, mentre per il C. resta fondamentale il dato biografico di poeta del Sud, lontano da ogni contatto col mondo contemporaneo. Complessivamente, la critica ha avuto la sensazione di trovarsi di fronte a un poeta autentico, che ci ha lasciato, in oltre quindicimila versi, una sorta di lungo poema autobiografico, sia pure con una sfasatura rispetto agli uomini del suo tempo, in parte per l'edizione tardiva, in parte perché non vi si trovano riscontri con i problemi e le domande attuali. Storicamente l'opera è collocabile in un postermetismo maturo, forse una poesia di transizione fra le esperienze strettamente ermetiche e le sperimentazioni degli anni '60.
Opere: Pocosuono, Milano 1936; Ma questo…, Siena 1955; Parole del tempo, ibid. 1956; Come in dittici, ibid. 1956; Opere poetiche, I, a cura di R. Lerici e G. Tedeschi, Milano 1962 (comprende Come in dittici e i Quaderni di Villa Nuccia); II, a cura di R. Lerici, Milano 1966 (comprende Ma questo…, Sogno più non ricordo).

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Lorenzo Calogero.Lorenzo Calogero.Lorenzo Calogero.Mosaico (casa natale del poeta).Disegni di L. Calogero.Ultimo scritto del poeta.Raccolta di poesie.Particolare (monumento Calogero).Particolare (monumento Calogero).Casa Calogero.Libreria, casa Calogero.Tomba Calogero.Particolare (tomba Calogero).Pagina di uno dei quaderni Calogero.
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