La cciappa era la pietra della vergogna su cui avveniva l’acculattata. Attestata nella Grecia classica e rivitalizzata anche a Melicuccà nei secoli della Commenda, “Minari c’u culu a cciappa” (battere col sedere sopra un lastrone di pietra) significava dichiarare fallimento.
Il debitore era condotto in processione, su un asino bianco, in piazza Tocco, (da qui il detto” u levaru supra a nu sceccu iancu”, persona svergognata pubblicamente), dove, si trovava la cciappa (o lapis vituperii), preceduto da un trombettiere e da un banditore che gridava: “Si frusta Tizio perché è fallito”; seguiva un corteo schiamazzante che agitava borse vuote. Denudato davanti al popolo, da questa circostanza deriva forse il detto “rrestau cu na manu davanti e natra darretu”. Doveva, qui, effettuare l’acculattata, cioè, sbattere per tre volte il sedere pronunciando le parole:”Cedo i beni”. Finita questa cerimonia il debitore era messo in libertà. Questa usanza e la pietra rimasero in piedi fino a quando, i Cavalieri di Malta, non lasciarono il paese.
Pietra della vergogna esposta a PadovaPietra della vergogna esposta al palazzo della Regione di Padova.
Pietra della vergogna esposta a Padova
Pietra della vergogna esposta al palazzo della Regione di Padova.